
Museo navi vichinghe di Roskilde in Danimarca
La commozione che una fotografia lascerà nel ricordo di tutti noi, dove un presidente addolorato dalla perdita di un amico abbraccia amorevolmente il figlio di Sebastiano Tusa davanti alla nave da lui consegnata alla storia, è la cifra della tensione emotiva che ha accompagnato la giornata di sabato scorso al Museo archeologico di Marsala.

Nello Musumeci e Andrea Tusa
L’inaugurazione dell’esposizione della Nave romana di Marausa, ha confermato ancora una volta il valore e il livello internazionale dello studioso che ha dedicato la sua vita all’archeologia, ma è stata anche l’occasione per alcune riflessioni sullo stato dell’arte del settore, in memoria di chi ha lottato per portare la Sicilia ad un livello competitivo in campo scientifico internazionale, proprio nella convinzione del valore del patrimonio culturale e degli uomini della sua terra.
Nel suo accorato discorso, il presidente Musumeci, manifestando chiaramente l’intenzione di continuare i progetti di Tusa, ha sottolineando come egli avesse individuato i punti nevralgici che avrebbero potuto dare sviluppo alla Sicilia. Proprio partendo dal lungo processo di restauro che ha interessato la nave esposta a Marsala, il tema della mancanza di laboratori specializzati in Sicilia è certamente stato uno dei nodi centrali. E la situazione italiana non è migliore, visti i pochissimi centri esistenti.
Gli scafi delle antiche navi naufragate, costituiscono uno dei reperti archeologici di maggior bellezza, oltre ovviamente a essere di straordinaria importanza per lo studio. Ma sono anche tra i manufatti più difficili da conservare: il legno è un materiale vivo e quindi soggetto a deterioramento. Risparmiato dall’azione del tempo, una volta recuperato dal fondo del mare affronta un’ulteriore sfida: l’impatto con l’aria. Il legno che si è mantenuto intatto per millenni sul fondo del mare, protetto in un ambiente privo di ossigeno dalla sabbia o dal fango, una volta recuperato, se non è sottoposto a immediati procedimenti di conservazione, tende a degradarsi con grande rapidità.
Già nel lontano 2007, Sebastiano Tusa aveva intuito la necessità della creazione di un polo di eccellenza e, in occasione di un progetto di alta formazione internazionale che volle per alcuni tecnici dell’Amministrazione regionale, organizzò uno stage a Roskilde e Brede, in Danimarca, presso il museo delle navi vichinghe. Qui, in quello che viene considerato in tutto il mondo il punto di riferimento per il restauro del legno bagnato, il team di specialisti iniziò un processo formativo purtroppo interrotto per l’impossibilità di reperire somme per la creazione di un centro specializzato nell’Isola.
I legni della Nave di Marausa, individuati e recuperati dalla Soprintendenza del Mare siciliana, sono stati inviati per il trattamento di restauro a Salerno, l’unico laboratorio del Sud Italia che possa trattare questi materiali. Un lungo processo, durato 5 anni e costato molte migliaia di euro, si è concluso senza che nessuna professionalità siciliana abbia potuto formarsi e quindi occuparsi dei futuri restauri. Una situazione molto grave in considerazione del grande patrimonio culturale sommerso che la Sicilia possiede. Anche in occasione del recupero della nave greca di Gela, avvenuto tra il 2003 e il 2008, i circa 1500 frammenti di legno furono inviati a Portsmouth, in Inghilterra, per il trattamento e il restauro. In altre occasioni, come nel caso del relitto “Grillo” rinvenuto nei fondali di Valderice vicino Trapani, dopo lo scavo e il rilievo subacqueo l’imbarcazione è stata ricoperta senza recuperarla in attesa di fondi e di una struttura per il trattamento del legno.
Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, molte sono ancora le incognite riguardanti i vari metodi di conservazione; i dubbi investono non soltanto l’efficacia dei vari procedimenti di deidratazione o di sostituzione dell’acqua, ma anche la loro capacità di non modificare le dimensioni degli stessi reperti. Il metodo finora più utilizzato prevede l’impiego di una sostanza chimica di sintesi, il polietilenglicole, meglio noto come PEG, che va a sostituire l’acqua presente nel legno. I tempi necessari per questo tipo di trattamento e i costi lo rendono però di difficile impiego su oggetti di grandi dimensioni come i relitti navali. Nel caso di Marausa, si è scelto un metodo già sperimentato per le navi di Olbia, scoperte nel 1999 durante i lavori all’interno del porto. L’essiccamento ottenuto con la disidratazione in camere sottovuoto, ha permesso l’eliminazione di tutta l’acqua senza collasso del legno. Successivamente i reperti sono stati impregnati con una soluzione di carboidrati complessi che si usano nell’industria alimentare, simili a quelli persi dal legno. Infine l’ultimo trattamento in celle climatizzate che ha consentito di mantenere i legni a temperatura e umidità costanti, li ha resi pronti per la musealizzazione.
Quindi l’istituzione di un centro di alta tecnologia sembra quanto mai indispensabile sia per lo sviluppo di nuove tecniche e il perfezionamento delle metodologie, ma anche per dare opportunità di lavoro di alto profilo a giovani siciliani.
Questo era insomma il sogno di Sebastiano Tusa: la creazione di un polo scientifico siciliano che potesse diventare un punto di riferimento per l’Italia e per tutti i paesi del Mediterraneo, proprio nella convinzione che la Sicilia, depositaria di una cultura millenaria, avesse tutte le carte in regola per dimostrare con le sue politiche di tutela e valorizzazione il suo ruolo centrale nel panorama internazionale. Adesso il Presidente della Regione ha preso il pubblico impegno di renderlo reale. Una buona notizia, importante almeno quanto l’evento che l’ha “ospitata”.
Salvatore Emma
(sicilia.admaioramedia.it)