I capigruppo di Fratelli d’Italia e dell’Udc all’Assemblea regionale siciliana, Antonio Catalfamo ed Eleonora Lo Curto, hanno depositato al Tar di Palermo un ricorso contro la comunicazione con cui il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè ha reso noto che i due parlamentari si sono sottratti all’obbligo, introdotto dalla legge regionale 18 del 2018, di dichiarare la loro appartenenza o meno alla massoneria o ad associazioni similari.
Una posizione quella di Fratelli d’Italia, nettamente in contrasto con quella dei loro predecessori della destra politica all’Ars, il Movimento Sociale Italiano. Fu infatti nel luglio 1992 l’allora capogruppo del MSI-DN Nicola Cristaldi, a nome del suo gruppo (Francesco Virga, Nicola Bono, Benito Paolone e Sebastiano Ragno) a presentare una mozione in cui si impegnava il presidente della Regione “a sottoscrivere e fare sottoscrivere ai componenti della Giunta regionale di Governo dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, attestanti la non appartenenza alla massoneria, ovvero l’indicazione dell’obbedienza e della loggia di appartenenza, anche se coperta; a fare sottoscrivere analoga dichiarazione ai direttori ed ai dirigenti dell’Amministrazione regionale nonché agli amministratori di enti, organismi e istituti dipendenti o sottoposti al controllo della Regione”. Sebbene il Msi fosse all’opposizione la mozione, con un voto trasversale, fu approvata all’unanimità.
La legge attuale, promossa dal presidente dell’Antimafia regionale, Claudio Fava, e approvata a larga maggioranza, ha imposto ai deputati regionali (ma anche ai sindaci, ai consiglieri comunali e circoscrizionali, agli assessori regionali e comunali) l’obbligo di dichiarare l’appartenenza alle “associazioni massoniche o similari che creino vincoli gerarchici, solidaristici o d’obbedienza”. La legge è contestata dai due deputati ritenendola una violazione del loro diritto di associarsi liberamente, “tutelato dalla Costituzione e dalla normativa europea”. I due parlamentari hanno denunciato come “le norme siano discriminatorie tra le associazioni massoniche e le altre parimenti lecite e ammesse dall’ordinamento”.
Con il ricorso si chiede l’eliminazione della pubblicazione e si solleva in particolare due questioni di legittimità costituzionale. Ora la palla passa al Tar che, dopo avere deciso sulla richiesta di sospensiva della pubblicazione, dovrà poi valutare la non manifesta infondatezza delle censure costituzionali avanzate, in tal caso trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale. (red)
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